Microfisica della mediazione nel mondo greco antico, Pisa: Pisa University Press 2014.
La società contemporanea, bisognosa di ricostruzione del senso della comunità, va lentamente scoprendo forme di risoluzione dei conflitti alternative a quelle giuridiche, rigide e astratte. Ma pratiche di questo genere erano conosciute e sperimentate a tutti i livelli già nel mondo greco: nei rapporti interpersonali, in quelli interni alla polis (parentali, amicali e sociali) e in quelli tra le poleis.
Di più, l’organizzazione concettuale che le sorreggeva sembra essere, nei Greci, una forma mentis attiva anche in altri ambiti, ad esempio nella concezione delle competizioni sportive e nelle teorie politiche. Interessato a tutto ciò, il volume parte da una riconsiderazione della nozione greca di mèson, “mezzo” o “centro”, di cui Marcel Detienne, Jean-Pierre Vernant e poi Nicole Loraux sono stati i più illustri studiosi, e ne mette in luce le ulteriori connotazioni di “spazio di mezzo contiguo alle parti”.
Sotto questo aspetto, il mèson si rivela non più come centro equidistante dalle parti (secondo la visione di Detienne e Vernant) né come punto dello scontro violento tra di esse (secondo la linea degli studi della Loraux), ma come il luogo terzo della gestione costruttiva del conflitto. I tre capitoli che – con una Prefazione di Gianni Scotto, docente di International Conflict Trasformation presso l’Università di Firenze – compongono il libro individuano ed analizzano le pratiche, ad opera di terze parti, di costruzione della pace con mezzi pacifici, le loro dinamiche e le loro rappresentazioni simboliche, al livello micro dei rapporti interpersonali, al livello meso dei rapporti intrapoleici e al livello macro dei rapporti interpoleici. In primo luogo viene descritto il funzionamento della più nota forma di terzietà, quella che si esprime nella figura del giudice dei tribunali (operante in modo non dissimile da quella del giudice di gara).
Quindi, a tutti e tre i livelli prima menzionati vengono studiate le forme di arbitrato (pubblico e privato; conciliativo, equo, giudicativo), di mediazione e di interposizione, con le relative modalità di attuazione. Sono analizzate inoltre anche altre configurazioni di gestione dei conflitti – come quella dei cosiddetti tribunali stranieri o quella prevista in risposta ad una petizione, nonché quella che vede i potenti operare in modo arbitrale anche all’interno di veri e propri processi – che si sviluppano dal periodo ellenistico in poi. Vengono aperte infine alcune ‘finestre’, a cui ci si affaccia attraverso lo sguardo degli storici scriventi in greco, su alcuni momenti altamente conflittuali della storia di Roma (le proscrizioni del I sec. a.C.) e di quella della religione cristiana (il concilio di Nicea). Le fonti prese in considerazione sono tanto storiche e letterarie (più o meno da Omero a Giuliano l’Apostata) quanto epigrafiche e papiracee (per lo più quelle presenti in specifiche raccolte di iscrizioni relative ad arbitrati interpoleici, o individuate sulla base di citazioni fatte da altri studiosi).
Viene fuori dalla ricerca il quadro di un mondo greco che nella gestione dei conflitti conosce e mette in pratica varie ed articolate modalità extragiudiziali costituenti una sorta di ‘diritto gentile’. Quest’ultimo presenta la struttura di un gioco ‘a somma positiva’, e vige accanto, e spesso in alternativa, al gioco ‘a somma zero’ dei tribunali, delle lotte civili e delle guerre.
Esso si fonda principalmente sulla relazione di equivicinanza, sulla capacità diplomatica, sull’intenzione di conciliare e di far vincere tutte le parti evitando che una di esse risulti sconfitta o anche soltanto perda la faccia, sul principio di gradualità nella eventuale costrizione e in ogni caso sulla presa in carico della sofferenza, ad opera del terzo, della parte soccombente. Il ‘diritto gentile’ è orientato al futuro, cioè alla ricostruzione della relazione, piuttosto che al passato (o solo ad esso), cioè all’individuazione del colpevole. Suoi rappresentanti sono figure di persone che agiscono con modi informali e senza ricorrere ad alcun tipo di forza: individui autorevoli che rinunciano a gestire il conflitto per mezzo della loro pur legittima autorità, anziani provvisti soltanto della loro saggezza, amici e parenti (anche città-parenti) delle parti in lite che sono a loro pari per status, ma soprattutto donne. Le inermi figure femminili, che conoscono soltanto lo spazio privato e che in quanto madri, mogli, figlie o sorelle sono per definizione portatrici di relazione e dunque in mezzo – risultano anzi ‘portatrici’ per eccellenza e al massimo grado del ‘diritto gentile’.
Evitando di concepire il mondo greco all’interno delle opposte categorie dell’“irenismo comunitario” o della “bellicità perenne” (esterna o interna alla polis), c’è dunque spazio per una storia che, adeguatamente alle esigenze dei nostri tempi, illustri i tentativi fatti, nella realtà e nelle idee, per salvare, insieme, la giustizia e le relazioni umane.